Il flamenco inclusivo: uno strumento di resilienza

Un intero weekend dedicato al rapporto tra corpo e mente, e all’interazione sinergica con l’altro, sabato 3 e domenica 4 febbraio, in occasione del laboratorio di Flamenco inclusivo, condotto dalla ballerina Matilde Melanotte, per la sezione #laboratori del festival Gli Stati della Mente.

Un gruppo di quindici persone che, accompagnato in un viaggio alla scoperta della relazione con il proprio corpo, il ritmo, l’interazione con la musica e con l’altro, ha dato vita ad un’esperienza di inclusione e ad un’occasione realmente performativa.

Dal momento che l’intento maggiore della seconda edizione del festival, Racconti limbici, è proprio quella della narrazione, abbiamo chiesto a Matilde Melanotte di introdurci con un breve racconto al lavoro fatto nel weekend di laboratorio.

Le immagini di Giovanna Laiso e i contenuti video di Fabio Matterazzo ci aiuteranno a comprendere più da vicino l’idea di fondo che ha condotto a tale esperienza.

 

“Il laboratorio di flamenco inclusivo propone una nuova didattica che fomenta la partecipazione, il divertimento e l’armonia tra i partecipanti, superando solo cosí le difficoltà che sorgono durante la lezione. I limiti prendono forme diverse, alcuni sono piú visibili, altri meno, ma ci uniscono con l’altro perché sono comuni a tutti, rendendoci piú umani. Cosí come il flamenco nasce dal concetto di limite come stimolo per la creatività, questo laboratorio ci riporta alle origini di quest’arte quando i gitani perseguitati ed emarginati perché diversi, cantavano e ballavano le loro pene. Il flamenco è quindi uno strumento universale di resilienza. Gli stili in cui si differenzia esprimono una vasta gamma di emozioni, che offrono un potenziale importante su cui allenare la propria introspezione. É immediato trovare nel flamenco un qualcosa di nostro, che possiamo raccontare.

Questo laboratorio aperto a tutti, incluse le persone diversamente abili, ha mostrato che é possibile imparare ritmi complessi e sconosciuti e giocare con le proprie difficoltà, improvvisando altri suoni sulla base della sequenza di pulsazioni conosciute. Il ritmo é stato usato come forma per comunicare, sostituendo la parola, e come modo per ascoltare ed ascoltarsi. Il gruppo ha poi trovato un ritmo comune, coordinando voci, passi, e battiti diversi.

Abbiamo poi lavorato sulle emozioni suscitate dall’ascolto di un brano, trasformate poi  in movimenti e infine, in passi di flamenco con cui abbiamo creato una coreografia che raccontava le emozioni di ogni partecipante. La stessa cosa l’abbiamo fatta con i passi che raccontavano l’identitá di ognuno, perché ripetuti in assenza di altri schemi.

Uno dei fili conduttori del laboratorio era il limite, sperimentato ad occhi chiusi e superato attraverso un contatto con l’altro. Quando il limite diventa un’altra persona invece,  si sperimenta in modo diverso. Si impara ad accettarlo, si  asseconda  o si ostacola. Abbiamo quindi ballato il limite dell’altro, attraverso varie attività che fomentavano l’empatia.

Abbiamo sempre lavorato in cerchio, a coppie, occupando tutto lo spazio per evitare la forzatura della lezione frontale, non adatta ad un lavoro di solidarietá e accettazione come quello proposto. I partecipanti hanno conosciuto il flamenco in modo trasversale, creando tra di loro vincoli silenziosi ma profondi, affrontando paure e timidezze con il sorriso e l’appoggio del gruppo.” [Matilde Melanotte]