Ballare la resilienza. L’esperienza del Flamenco Inclusivo

Una quindicina di persone dalle vite più diverse si siedono in cerchio un sabato pomeriggio in un dipartimento di salute mentale. Ognuna ha la sua storia, non occorre raccontarla. Nessuno sa niente dell’altro, non importa saperlo. La diversità è evidente, non dev’essere per forza nominata. Così, senza nessun giudizio che classifica l’altro, né severi pensieri che giudicano le nostre capacità, creiamo uno spazio libero di condivisione, creatività e arte. Perché arte è anche questa, dare forma a qualcosa che forma non ha.

Da subito si è creata un’atmosfera di ascolto e di disponibilità’ verso l’altro grazie ad esercizi propedeutici basati sul compás flamenco, grazie al quale i partecipanti hanno stabilito un contatto iniziale tra di loro e trovato poi un ritmo comune. Le pulsazioni scandite dal battito di mani hanno avuto lo straordinario ruolo di farci sentire parte di qualcosa di comune, coordinando gesti e cuore all’unisono. In questo modo senza forzature, ogni membro del gruppo ha avuto il suo spazio per creare variazioni sul ritmo di base, così da poter interiorizzare il compás proposto.

Il ritmo come contatto e strumento comune è servito da ponte per avanzare con il theme development della sessione, seguendo la struttura tipica della danza terapeuta Marian Chance.

Il ritmo studiato é stato riproposto all’interno di vari esercizi, usando le variazioni come strumento di comunicazione non verbale tra i corsisti. Abbiamo creato dei veri e propri remates personali e unici, carichi di significato da consegnare all’altro. Il lavoro con il linguaggio non verbale é estremamente prezioso in quanto – come sosteneva Marian Chance – ogni persona ha in sé il desiderio umano di comunicare. I pazienti piú inaccessibili possono trovare il loro modo di esprimersi senza esporsi in modo esplicito, potendo comunicare in modo immediato cose delicatamente nascoste. Utilizzando il ritmo e le sonorità si sposta l’attenzione dal mondo interno, buio e ovattato, all’eternità della musica, sentendoci tutti un po’ più liberi. L’espressione di sé ci fa uscire qui ed ora da uno stato di paura e dipendenza.

Attraverso l’uso del ritmo come verbo che arriva all’altro, si dà la possibilità al gruppo di poter sperimentare nuovi suoni utilizzando tutte le parti del corpo come strumento integrandole con la voce, suggerendo così una visione globale e unita del sé. L’uso della voce come ritmo, trasformato in jaleo nel flamenco, ci permette di interagire con chi balla o suona, favorendo l’interazione tra musica, ballo e parola. Insieme abbiamo imparato a usare la voce in un dialogo musicale con semplici esercizi, controllando e modulando il jaleo a seconda della situazione presentata. Queste attività rispecchiano la relazione biunivoca tra la persona e il contesto reale, aiutando a controllare e modulare, distinguere ed esprimere stimoli interni come la voce  o le emozioni.

Dall’uso della voce come suono, siamo arrivati poi all’uso della parola come veicolo simbolico di immagini e sensazioni. La parola nel flamenco la ritroviamo nelle letras, testi popolari tramandati oralmente, che con lessico e scene quotidiane permettono di trasmettere immagini concrete con semplicità e immediatezza, utili per capire metaforicamente il nostro sentire. Per esempio abbiamo lavorato sulla letra di Yeyé de Cadiz che dice “la vida me ha maltratado y en vez de sentirme herido, nace nuevo corazón dentro del corazón mío” ( la vita mi ha maltrattato e invece di sentirmi ferito, nasce un nuovo cuore dentro il cuore mio). In questo modo si trasforma l’emozione, le si da una forma estetica sublimando il suo significato rendendolo cosí piú concreto, accettabile e quindi controllabile. Dalla parola siamo passati quindi al movimento, cercando di interpretare il messaggio letto nelle letra attraverso una gestualità flamenca. Come scriveva Alma Hawkins, altra grande teorica della danza terapia, il movimento permette una maggiore integrazione della persona con l’emozione e con l’ambiente. Il movimento autentico di ognuno di noi é stato quindi condiviso con il gruppo, creando una narrativa comune, tradotta in una coreografia con i passi di ogni componente del gruppo.

Alla fine di ogni sessione é stata fondamentale la sua chiusura, ritornando alla dinamica del cerchio, in una chiave di condivisione e di confronto. Si restituiva al gruppo ciò che si era appreso attraverso un linguaggio verbale e non verbale. Ciò che emerse dai questi incontri è stata una necessita spesso soppressa nel quotidiano di entrare in contatto con noi stessi, come se questo fosse qualcosa di creativo che rompe la regola, come se non ci potessimo permettere di conoscere e riconoscere verità che possono farci perdere il nostro equilibrio. Ma il rapporto con un ordine, uno schema e una regola può andare d’accordo con l’espressione di sé, anche in un contesto quotidiano, considerando come anche all’interno di questo laboratorio il codice e lo schema non hanno mai abbandonato la libera espressione di sé.

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Articolo di Matilde Melanotte, ballerina di flamenco e conduttrice del laboratorio di Flamenco Inclusivo per Gli Stati della Mente (7-8 aprile e 26-27 maggio 2018). 

Il progetto è realizzato con il sostegno del MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”.

 

 

Photogallery by Giovanna Laìso