Frank è un genio della musica. Frank ha un disturbo mentale.
Frank è un genio della musica perché ha un disturbo mentale?
Apriamo qui il dibattito. Un iniziale approccio al tema c’è stato lo scorso lunedì, in occasione del primo appuntamento di VISIONI DELLA MENTE, il ciclo di incontri che coniuga salute mentale e cinema, a cura di Walter Ronzani e realizzato in collaborazione con l’associazione Kairos Donna e l’Azienda ULSS 8 Berica.
Il tema cardine del Festival sarà declinato secondo diversi filoni di lettura: il rapporto tra arte e salute mentale, il cambiamento dei luoghi deputati alla salute mentale, la visione al femminile, il rapporto tra corpo e mente.
Proprio del primo filone fa parte “Frank”, commedia tragicomica uscita dalla mente di Lenny Abrahamson.
Il protagonista del film è il leader carismatico di una band di personaggi improbabili, strepitosi almeno quanto problematici, e lui non è da meno: con la sua maschera di cartapesta, che va a coprirgli interamente la testa, si permette di vivere la propria vita. Le sue emozioni sono celate dietro questa cortina imperscrutabile all’interlocutore di turno, ma Frank si sforza di comunicare a voce ciò che la sua mimica facciale potrebbe facilmente farci comprendere. Come se bastassero le parole a rassicurarci del suo stravagante atteggiamento…
Lo spunto per l’eclettico artista interpretato da Michael Fassbender, è tratto dalla storia vera del musicista e comico Chris Sievey e del suo alter ego Frank Sidebottom, celebre per il suo incrollabile ottimismo e per il fatto di indossare costantemente una finta testa di cartapesta, proprio come il protagonista della nostra pellicola. Chris Sievey era un ragazzo della periferia di Manchester, Timperley, fortemente legato alla propria città ma anche deluso dalle poche opportunità che gli offriva e, probabilmente, la maschera gli ha concesso di ottenere quello che la sua improbabile capacità canora non era stata in grado di dargli: la notorietà. Chi lo conosceva sosteneva che quando Chris Sievey indossava la maschera si comportava in maniera completamente diversa, muovendosi e parlando come se fosse un altro, anche quando non doveva esibirsi: una totale immedesimazione nel personaggio. Chris era in grado di immedesimarsi talmente tanto nel suo personaggio da “diventare”, a tutti gli effetti, Frank.
Ed è proprio questo a catturarci come spettatori, la possibilità del protagonista di sentirsi completamente libero di esprimere se stesso, sia nelle relazioni con gli altri ma, soprattutto, nella sua dimensione artistica, proprio grazie alla completa immedesimazione con questo “personaggio mascherato”. Da qui la vera domanda: qual’è il legame tra la sua innata creatività e la sua condizione psicopatologica?
Uno spunto al dibattito lo cerco tra le righe di un testo edito nel 2015 da Jaca Book, e che tratta quel dibattuto quanto scivoloso tema dell’Outsider Art. A poche pagine dall’inizio, Fausto Petrella dedica un intero capitolo all’argomento, intitolando il suo intervento “Appunti su arte e psicopatologia”.
Ora, Petrella parla di opere d’arte visuale, ma non esclude certamente, nella sua riflessione, musica e teatro, interrogandosi in primo luogo sulle potenzialità terapeutiche del processo creativo nel “creare circoli virtuosi e rinnovati nell’area di quella relazione Io-Corpo-Mondo entro la quale si installa sia la patologia sia la salute mentale”.
E continua: “Palesi sono i nessi tra creatività e follia, ma sia nel senso di una follia che alimenta il prodursi di opere artistiche, dove il mezzo artistico può talora apparire come il pressoché esclusivo strumento espressivo di chi sembra aver perduto ogni capacità comunicativa ordinaria; sia nel senso opposto, quando constatiamo che la produzione artistica viene fortemente limitata dal processo morboso, sino a realizzare quella assenza di opera di cui parla Foucault, e che sarebbe una delle caratteristiche salienti della devastazione prodotta dalla malattia mentale”.
Probabilmente ciascuno di noi potrà citare esempi più o meno noti per avvalorare tanto l’uno quanto l’altro di questi fatti, apparentemente contraddittori, ma che in realtà mostrano “soltanto la complessità del problema e l’incidenza di innumerevoli variabili”.
In attesa del secondo appuntamento di VISIONI DELLA MENTE, previsto per il 12 febbraio, che vedrà in sala Erika Rossi, regista di talento del documentario “Trieste racconta Basaglia” (#luoghi, #sguardofemminile), questo articolo può darci l’occasione di riprendere il dibattito sulla proiezione del primo appuntamento, a qualche giorno di distanza, dopo aver lasciato decantare i pensieri e, forse, aver chiarito il nostro punto di vista sul tema.
Vi invitiamo a portare la vostra riflessione al prossimo incontro, o di condividerla sulla pagina facebook dell’evento, a questo link.