Forse non è un caso che “Le Baccanti” di Euripide si configuri come l’ultima delle grandi tragedie che ci sono rimaste. Per certi aspetti essa si pone come fine di un genere, e più in generale di un pensiero (quello tragico appunto), ma anche come inizio di quella diversa visione del mondo che sta alla base della tradizione che conduce fino ad oggi e a quel che rimane del teatro moderno. Implicitamente, mettendo in scena come protagonista lo stesso dio del teatro, Dioniso, essa si pone come riflessione sullo stesso statuto di teatralità, sulla sua crisi, sulla sua impossibilità. Il teatro, sotto il segno di Dioniso, si configurava essenzialmente come una relazione fondata sulla reciprocità (“io ti vedo mentre tu mi vedi”), come rito collettivo il cui telos era quello di giungere ad una comunione-dispersione delle soggettività, a favore di una osmosi col divino, col tutto. Questa relazione si dà invece come impossibilità ne “Le Baccanti”. La relazione è qui oppositiva, lo sguardo si fa distaccato, voyeuristico e ciò rende impossibile ogni reciprocità, ogni tensione ad una reale unione. Le tensioni si polarizzano senza dar luogo a nessuna congiunzione. DIONISO e PENTEO non può essere così uno spettacolo compiutamente e felicemente dionisiaco, perché qui esso potrà manifestarsi soltanto come vendetta. Vendetta contro attori e spettatori, polarizzati in uno statuto che, per quanto potrà apparire abolito, verrà riaffermato proprio mentre sembrerà capovolgersi. Si aboliscano le barriere solo per ripristinarle con più forza, i confini che sembrano dissolti sono sempre stati lì – era solo la nostra vista ad essersi offuscata. La distorsione relazionale – che qui porta al suo dissolvimento completo – nasce dal rifiuto di riconoscere l’altro in noi, dal rifiuto e dalla negazione dei nostri istinti e desideri profondi che tornano a sbranarci non appena rifiutiamo di riconoscerli come tali. In questo senso, il rapporto attori-spettatori si fa mimetico di rapporti esperiti sempre più spesso nelle relazioni col mondo che si stabiliscono appunto sotto il segno dell’opposizione e del non riconoscimento.
A cura di Teatro del Lemming
Il Teatro del Lemming, a partire dagli anni novanta, è riconosciuta come una delle Compagnie di punta del nuovo teatro italiano. Il lavoro di ricerca del Lemming si è da sempre rivolto alla definizione di un personalissimo linguaggio teatrale, in grado di realizzare un efficace coinvolgimento drammaturgico e sensoriale del singolo spettatore partecipante. Gli spettacoli della Compagnia, che presuppongono spesso la partecipazione di un numero limitato di spettatori, sono stati proposti con successo nei principali teatri e festival italiani ed europei. Fra i riconoscimenti ricevuti nel corso degli anni: il Premio Totola (da un giuria presieduta da Gianfranco De Bosio), il Premio Giuseppe Bartolucci (da un giuria presieduta dal critico Franco Quadri), e Silver Snowflake al Winter Festival di Sarajevo 2013.